
Lo scenografo e costumista Carlo Sala a due settimane dal debutto si racconta
Questo doppio impegno nelle tragedie è stato come fare un viaggio e nello stesso tempo raccontarlo come fosse già avvenuto da tempo. Un doppio viaggio su binari paralleli e divergenti. La tragedia è la stessa, quella dei due fratelli che si uccidono lasciando una profonda domanda sulla ricerca di una verità altra dal proprio vissuto, una verità più giusta di quella filtrata dal dolore tragico immanente.
Due allestimenti distanti nella scrittura e nelle esigenze sceniche.
Innanzitutto ho voluto creare un rapporto dichiaratamente invasivo nello spazio di quello che è “ora” il teatro greco, un piano scenico appoggiato sui resti, che si intravedono, alla ricerca ,nè mimetica nè imitativa ,di convivenza con questo spazio .
Questo gesto mi ha permesso la libertà di immaginare il mondo, antropologicamente più antico per “I sette contro Tebe” dominato da una divinità arborea sempre in pericolo di estinzione e perennemente in germoglio.
Si supera cosi anche il bisogno di una grecità narrativa, guardando più a riti tribali africani.
Dove il passaggio tra adolescenza ed età adulta comporta anche l’assunzione di responsabilità governative, un popolo giovane perennemente in tumulto, dove l’energia fisica è componente essenziale di sopravvivenza e la necessità di guerreggiare è connaturata al destino della città stessa. La tragedia è davanti a noi esplicitata, convissuta.
Le Fenicie, al contrario , sono spettatrici obbligate ,accidentalmente di passaggio , ad assistere alla tragedia di una famiglia distrutta che nel racconto ha perso la necessità del vissuto eroico.
Lo spazio è astratto, ad evocare un racconto fatto mille e mille volte senza una giusta soluzione, ancora più invadente il teatro greco ,un forte colore , un solo colore dove più niente ci lega alla natura divina