” Senso ” è la parola-chiave che unisce il classico al moderno, le tragedie di tanti secoli fa alla deriva post-moderna – non meno tragica – di oggi. Si tratta di un senso forse smarrito, che attiene sia alla sfera emozionale che a quella cognitiva, e proprio su questa ricerca si innerva il dramma Prometeo di Eschilo, in scena al teatro greco di Siracusa (in calendario, sino al 30 giugno, anche Baccanti di Euripide e Uccelli di Aristofane) per la regia di Claudio Longhi. E’ lo stesso regista a spiegare non solo la prospettiva particolare con cui ha “guardato” il dramma, ma anche il rapporto sempre dialettico tra antico e moderno.
“Penso che il senso sia un tema cruciale, tanto più se rapportato al tempo, che nel Prometeo è ambiguo: da una parte c’è il tempo che passa e che porta il progresso, dall’altra il tempo che si consuma e va verso la decadenza. In tal senso è determinante orientare, ed è qui che antico e moderno si fondono ed è possibile scorgere una risposta. Il coro, a fine dramma, ci dà una bella lezione, quella di imparare a resistere: con la sua scelta di “soffrire con il protagonista ciò che è destinato”, incarna i valori di solidità e di resistenza”.
Ed è presto detto: il primo a resistere è proprio Prometeo, reo di aver dato il fuoco ai mortali che – sono parole così attuali del drammaturgo Eschilo – “guardavano e non vedevano, ascoltavano e non sentivano : come ombre di sogno conducevano una vita lunga e senza senso”. Per cercare di rendere al massimo la nozione di spazio e gesto – tanto più perché l’attore che veste i panni del protagonista, uno straordinario Massimo Popolizio – è legato ad una lastra girevole per tutta la durata del dramma – il regista Longhi sfrutta la capacità dello sgurado. “Il movimento della lastra riproduce la dinamica dello sguardo come lente per penetrare la realtà e consentire visioni da vicino, da lontano, di dettaglio e di insieme. E’ un modo per portare in scena le traiettorie dell’occhio e i movimenti della lastra aiutano a realizzarle”.
Aveva ragione Eliot, ripreso non a caso dal traduttore delle Baccanti Giorgio Ieranò: ” abbiamo bisogno di un occhio capace di vedere il passato così vivo da esserci presente come il presente stesso”. In tal senso, di un classico che non passa mai di moda parla il sovrintendente dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico Fernando Balestra che, fiero del risultato di aver ridotto i costui e aumenetato l’incasso nel corso del suo mandato, commenta così la scelta delle tragedie.
“Sono drammi che vanno alla radice di alcuni aspetti fondanti della civiltà occidentale e i personaggi pagano prezzi enormi: persino chio segue le regole e l’ordine, come Penteo nelle Baccanti, viene travolto per aver escludo l’istinto dalla sua vita” E se è vero che ogni antitesi graffia l’anima ma spinge alla conoscenza non vi è dubbio che simao un po’ tutti i personaggi di tragedia.
Rossella Pambieri
La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 5 giugno 2012