L’impianto scenico delle Baccanti euripidee, ieri sera nel teatro greco di Siracusa per la programmazione dell’Inda, era modernista di tubolari e imponenti strutture lignee. Ma la musica di Germano Mazzocchetti era invece solenne, trepida, come si conviene la dramma massimo della grecità che già si avviava alla scoperta del sacro. Dunque la struttura rotante e incombente restava come contrasto tra l’oggi tecnologico e l’arcaismo semplice e schietto. E subito la recitazione di Maurizio Donadoni (Dioniso) ha fatto sentire l’origine del sacro che è proprio di questo dramma come sentiva Nietzsche moderno e il San Paolo dei primordi cristiani. La sua voce possente, dalle rifrazioni eroiche, domina la scena e fa cogliere il senso della tragedia: il dialogo, impari, tra il Dio e la effimera umanità. Già basta questo per rendere conto del lavoro scenico che il regista Antonio Calenda ha portato, come altre volte, alla dimensione umana più riposta, rinunciando ai lenocini di sceneggiature inopportunamente oltre il corso del tempo. Gli altri interpreti, con bella coerenza, seguono il medesimo temperamento umano: la forza, l’energia dei riti misteriosi o contro di essi in nome di una guerra inesorabile di violenza. Realtà certo dolorose, ma assolutamente vere. Francesco Benedetto, Daniele Griggio e Massimo Nicolini sul piano degli àristoi figurano l’impeto che crea la storia. Il coro, con le belle movenze disegnate da Martha Graham e Janet Eilber con la forte bicromia dei costumi di Pierpaolo Bisleri, tempera di solenne bellezza la tremenda festa di Bacco, cioè dei sensi arricchita dalle interpretazioni di Luca Di Mauro, Iacopo Venturiero e Giacinto Palmarini. Le figure femminili (Gaia Aprea come corifea e Daniela Giovanetti come Agave) riescono a confermare la femminilità vitale con lo slancio della vita quotidiana nel mistero divino. Questa tragedia, in questa chiave di interpretazione va oltre la rievocazione dei miti: è la fondazione della consapevolezza del confine tra ragione umana e la volontà imperscrutabile dell’Assoluto che alla umana saccenteria può apparire insensata. Il pubblico di Siracusa (una gran folla in tutti gli ordini di posti) ha seguito assorta, sottolineando con fragorosi applausi i momenti più alti. E’ stato il retaggio della civiltà classica di cui siamo figli, al quale dovremmo avviare tutti i nostri cittadini, senza distinzione. Capirebbero chi siamo e quali profondità di filosofia stanno ancora tra di noi commuovendoci.
Sergio Sciacca,
La Sicilia, domenica 13 maggio 2012