LA VIOLENZA DEGLI DEI CHE SEGNA LE TRAGEDIE
di Guido Paduano
Oggi allo Steri e domani all’ hotel Borsa si celebra il convegno sul tema “Tirannici numi. Violenza divina in “Prometeo e Baccanti”, organizzato dall’ Istituto del dramma antico per presentare il nuovo ciclo di spettacoli classici in scena a maggio a Siracusa. Pubblichiamo un intervento del traduttore di “Prometeo” di Eschilo sull’ argomento del convegno
Le due tragedie che si rappresentano quest’ anno a Siracusa sono le due sole, nel corpus superstite, ad affrontare argomenti di storia religiosa: il Prometeo racconta la punizione inflitta al Titano per aver troppo favorito l’ umanità, mentre le Baccanti esprimono il contrastato ritorno dall’ Oriente di Dioniso alla madrepatria Tebe. Paradossalmente, sono le due tragedie che meglio dimostrano la laicità della tragedia greca, giacché non si attestano su nessuna posizione dogmatica, ma discutono il tema divino con arditezza e spregiudicatezza tale che nel primo caso hanno fatto dubitare della paternità eschilea, mentre nel secondo hanno prodotto la diffusa definizione delle Baccanti come “enigma”. Il convegno che l’ Istituto del dramma antico di Siracusa celebra da stamattina allo Steri sul tema “Tirannici numi. Violenza divina in Prometeo e Baccanti “, si incentra su una parola chiave, che segna il punto di maggiore divergenza fra la religione greca e la civiltà cristiana. Questa parola è “violenza”, che nel Prometeo diventa addirittura un personaggio muto del prologo, accanto al personaggio parlante “Potere” nella coppia dei fedeli servitori di Zeus che, insieme al riluttante Efesto, eseguono l’ orribile condanna. Ma se Prometeo resta vittima della violenza, ben più ambiguo è lo statuto del potere, che la vittima in certo modo possiede conoscendo il segreto che può porre termine al regno di Zeus, o al contrario assicurarlo per sempre. Se infatti Zeus si unirà con la nereide Teti, da loro nascerà un figlio destinato a esautorare il padre, così come Zeus ha rovesciato il padre Crono e lo stesso Crono a suo tempo il padre Urano: se, avvertito da Prometeo, si asterrà da questa unione (e Teti sposerà il mortale Peleo e partorirà “solo” Achille), il regno di Zeus sarà sottratto alla vicenda del tempo e alla spietata regola dello scontro fra le generazioni, che ha reso finora il divino precario quanto l’ umano, per diventare perpetuo e assoluto. La conciliazione con Prometeo, che è condizione di questo sviluppo, comporterà altresì che nel regime dei valori garantiti da Zeus entri anche quello cui Zeus è più estraneo, cioè la pietà. Le Baccanti hanno una struttura apparentemente più tradizionale, che Nietzsche infatti interpretava come tardiva resipiscenza del poeta nei confronti della religiosità tradizionale: violenza, condannata come tale, è indubbiamente la persecuzione che il sovrano illuminista Penteo esercita contro Dioniso e il suo culto, ma essa è come inglobata nella vendetta del dio, che la ripaga e la supera, tant’ è vero che all’ una come all’ altra si applica la parola con cui Eschilo equiparava la colpa umana allo squilibrio cosmico, vale a dire la hybris. Il culto di Dioniso è infatti ambiguamente sospeso fra l’ idillio e la distruzione, come mostra il fatto che lo scempio fatto del nemico ha riscontro nella cerimonia rituale dello sparagmos (ovvero lo sbranamento dell’ animale sacrificale). Un’ ambiguità ancora più profonda, o piuttosto una collusione, intercorre fra i processi della conversione e della punizione, entrambi operati dal dio: per punizione della loro incredulità le donne tebane, fra cui le zie di Dioniso, vengono trasformate in Baccanti, e come tali diventano a loro volta strumento della punizione di Penteo. * L’ autore è docente all’ Università di Pisa e traduttore di “Prometeo” –
GUIDO PADUANO
Repubblica – Palermo 13 aprile 2012