L’Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa e il regista Pietro Carriglio presentano in questi giorni, nella cavea bianco-sale del Teatro Greco, l’ Orestiade di Eschilo. Si tratta di un imponente sforzo produttivo, registico e attoriale, che nelle intenzioni va molto al di là dello spettacolo.
L’unica trilogia pervenutaci dall’antichità è tornata a Siracusa dopo cinquant’anni per sostenere e amplificare la pulsione legalitaria che in Sicilia cerca di farsi strada con comprensibile fatica.
Questa è l’ Orestiade contro il pizzo e contro il malaffare. Viene proposta senza forzare i termini, poiché proprio Eschilo, a conclusione della trilogia, nelle Eumenidi , sancisce con le parole di Atena il passaggio dalla barbarie della vendetta privata alla civiltà della giustizia pubblica con la nascita del primo tribunale della storia.
Per non lasciare il principio legalitario nella sfera delle astrazioni, anzi per renderlo visibile agli occhi della comunità, l’istituto siracusano ha fornito produzioni di antiche statue di gesso a tutti i commercianti che hanno dichiarato di non pagare il pizzo. Queste statue, in effetti, hanno ornato il percorso verso il parco archeologico e verso il Teatro greco. Un bel segnale. Oltretutto, si univa alla lettura della frase con cui, al termine delle Eumenidi , un personaggio pubblico ribadiva la nuova alleanza tra comunità e legalità. Il primo lettore, il più autorevole e implicato, è stato il procuratore antimafia Pietro Grasso.
Purtroppo esiste il diavolo. Un mattino le statue di gesso, le statue della nuova legalità, sono state trovate decapitate. Un indizio mafioso, pare, che rivela una strettissima parentela con un episodio accaduto ad Atene nel 416 a .C., quando la flotta ateniese si accingeva a salpare verso la conquista di Siracusa. Quella notte un gruppo di aristocratici decapitò le Erme (i busti del dio Hermes) sparse per la città. Era una profanazione, un gesto malaugurante e un avvertimento, che mirava ad abbattere il regime democratico. Anche adesso un’entità occulta ha avvertito e minacciato. Ma possibile che fra le sue file abbia persone così colte, così storicamente agguerrite, da ripetere dopo duemila e cinquecento anni un gesto che decretò la morte della democrazia ateniese?